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L'Architettura del territorio

Le architetture della nobiltà e delle più eminenti famiglie del Parte Montis mirano a consolidare nella pietra un’immagine di prestigio, potere e ricchezza ispirata ai modelli che nelle città disegnano i luoghi dell’alta società. Se pure ridotte nella dimensione palaziale e nella decorazione, esprimono nella straordinaria dimensione dei lotti e nel contrasto volumetrico con le forme dell’edilizia popolare il segno di un potere indiscusso, derivante da grandi investimenti fondiari, dal controllo del commercio, da stretti legami politici e familiari. 
In origine aperti sulla via solo da grandi portali improntati alla monumentalità cittadina, alti recinti murari racchiudono spesso interi isolati, al cui interno si sviluppa il disegno di una vera e propria villa rustica: il grande edificio della famiglia, ampie corti di rappresentanza, blocchi edilizi riservate alla servitù e al lavoro, altre corti secondarie su magazzini, forno, cantine, stalle.

La costruzione dell’immagine architettonica del signore integra la residenza e la produzione ma soprattutto rende esplicito il radicato potere fondiario della famiglia e la posizione di indiscussa eminenza sul popolo. Solo eccezionalmente tanto privilegio e visibilità sono concessi in città: nel villaggio il signore brilla in tutta la sua potenza e la sua casa è un castello; sono espliciti i rapporti con il polo religioso, come nel caso della Casa Diana a Simala, il cui ampio isolato è condiviso con la parrocchiale di san Nicola di Bari; analoghi rapporti si rilevano nel Palazzo Paderi di Mogoro, padrone di un isolato in diretto rapporto visivo e architettonico con la facciata della parrocchiale di san Bernardino; l’ampia proprietà dei Cony di Masullas, sulla via per il seicentesco complesso dei Cappuccini, con loro confina e indica la direzione di espansione residenziale e produttiva dell’abitato.

Su questi principi, importanti risorse continuano ad affluire per essere investite nell’architettura di tenore signorile; il nuovo modello sette-ottocentesco di palazzo aperto sul fronte della strada, con un prospetto ampio, articolato in ordinate finestre e porte disposte su più piani, rinnova l’immagine della residenza tradizionale portandola, con le linee della composizione architettonica neoclassica di ispirazione piemontese, verso il modello del palazzo civile. È il caso della residenza del giudice Cancedda di Simala, decorata da tondi con teste in rilievo su un modello adottato anche nel Palazzo Vivanet in via Università a Cagliari; oppure del palazzo del mercante Messina di Masullas, anch’esso pronto ad adottare i progetti di ampio respiro architettonico dei nuovi modi dell’abitare signorile. Analogo rinnovamento si esprime con cenni del tardo rococò nel palazzo di Sardara di Don Raimondo Orrù. È importante notare le conseguenze che queste scelte hanno sulla media borghesia rurale dei villaggi, anche in occasione delle ristrutturazioni edilizie conseguenti al tracciamento della nuova viabilità piemontese di attraversamento dei centri abitati. Le nuove facciate imposte dagli sventramenti previsti per la costruzione delle nuove arterie seguiranno, ciascuna secondo il proprio tenore economico, le tendenze culturali indicate dalla nobiltà. 
Si tratta quindi di nuove cose, nuovi investimenti che corrispondono spesso a strategici ampliamenti del nucleo residenziale del villaggio. Sembra che tutto si avvii tra la fine del Cinquecento e il Seicento attorno ai solidi nuclei arcaici stabili da secoli, forse dal medioevo: nuove chiese e nuove architetture nobiliari, nuove strade e nuove lottizzazioni disegnano la crescita di comunità evidentemente legate ai programmi di riorganizzazione e diffusione del controllo  feudale del territorio. Anche il Parte Montis partecipa ad un fenomeno che in misure differenti coinvolge varie regioni della Sardegna; ancora solo in parte studiate, tali dinamiche di sviluppo dei centri minori permettono una lettura nuova della loro storia urbanistica. Grandi progetti di raddoppio dell’abitato, come quello concepito ad Ales in corrispondenza con la realizzazione della nuova seicentesca sede vescovile, prevedono la costruzione di una elegante via nuova (Corso Cattedrale, già via Umberto, già via Mesu Idda), ampia ed elegante arteria sulla quale accogliere le abitazioni delle famiglie dirette verso Ales per effetto del nuovo prestigio conferito all’abitato.
In altri contesti sembrano essere le stesse residenze baronali a comprendere, insieme al progetto della nuova residenza palaziale, il disegno di una nuova lottizzazione residenziale, con esso coordinato e destinata ad ospitare le famiglie vicine al signore; le nuove strade e le case concorrono quindi alla formazione di un piccolo quartiere, ben proporzionati come nei più lontani casi di Ossi o Putifigari, e finalizzati a conferire  al palazzo un ancor più importante tenore cittadino. Si mettono quindi in campo, nelle dimensioni possibili, gli artifici prospettici adottati in città, talvolta anche mediante espropri o acquisti, come nel caso del palazzo Arcais di Oristano che, al fine di rendere più importante l’accesso sulla Via Dritta, favorisce l’apertura del vicolo sul lato opposto della via, dal quale godere della visione ricercata ed enfatizzare la scelta progettuale dello scalone prospettico sull’atrio. In questo quadro storico l’architettura “dei cavalieri” deve essere letta come patrimonio più ampio e diffuso. I palazzi, senza le case e le strade di loro pertinenza, perdono rapidamente il significato ed il fascino che li caratterizzavano in origine. La tutela del centro storico diventa quindi non solo importante in sé, ma spesso un’azione strategica in attesa della riscoperta dei tanti valori oggi celati. La ricostruzione del muro di cinta in pietra della Casa Salis (già Messina) di Masullas ha donato all’architettura l’originario fascino in relazione con la strada e il portale della proprietà; la necessità di tutela del Palazzo Paderi di Mogoro, oggi smembrato, deve comportare l’attento trattamento degli spazi urbani al contorno, portatori di raffinati rapporti di assialità tra l’edificio e la chiesa, così come tra il portale e la colonna un tempo sulla piazza della parrocchiale. Sono valori di architettura che i paesi del Parte Montis riscoprono e valorizzano, riportando al primo decoro le case private ma anche il tessuto monumentale composto di piccole chiese, monti granatici, fontane, strade e orti, fino al paesaggio agrario. È proprio qui che risiede la vera forza storica di ciascun paese, il potente polmone produttivo disegnato nei secoli dai contadini e dagli impianti olivetati, vitati e cerealicoli, su trame viarie e poderali vecchie di secoli. Il paesaggio agrario rappresenta un formidabile contenitore di valori, un centro storico campestre del quale rendersi pienamente proprietari, sede di significati culturali ed economici attraverso i quali ciascun villaggio ritrova i motivi della sua gloria antica, delle sue scelte di architettura, e quindi le radici della tradizione e della sua nobiltà.

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