Il villaggio è una comunità di individui, legati tra loro da relazioni di parentela e di vicinato.
La particolarità del villaggio, la sua «impronta digitale», si evidenzia nella distribuzione delle costruzioni interne all’abitato, nella linea delle strade, nei corsi d’acqua, nella disposizione delle fontane pubbliche e private.
La comunità di villaggio è legata alla terra di sua pertinenza dal principio del fundamentu, che consiste nella disponibilità di un’adeguata dotazione fondiaria.
Il villaggio è il protagonista dell’organizzazione dello spazio agrario, che, nella Sardegna in Età Moderna, è caratterizzato dall’alternanza tra la biddatzone, la parte destinata alle coltivazioni, e il paberile, la sezione destinata al pascolo.
Il diritto all’utilizzo di spazi per il legnatico e l’erbatico, su fondi demaniali feudali, è normalmente patteggiato con il barone, attraverso lo strumento dei Capitoli di Grazia, che regolano il rapporto del medesimo e con diverse comunità.
Sugli abitanti del villaggio gravano i diritti feudali, che devono essere corrisposti al feudatario. L’imposta principale è il feu, che ogni vassallo deve pagare per il solo fatto di risiedere nel feudo. Sono esatte poi varie imposte tematiche: il diritto del vino, il diritto di paglia e di scolca, lo sbarbaggio dei porci, il deghino delle pecore, il portatico, il diritto alle stoppie e la roadia. Quest’ultima è una prestazione d’opera a favore del barone, che può essere monetizzata.
Oltre a questi tributi, gli abitanti del villaggio devono farsi carico anche delle spese di mantenimento delle curie baronali, delle scrivanie e delle carceri.