Nel 1720 in seguito ai trattati internazionali, che ridefiniscono i confini europei dopo la guerra di successione spagnola, il Regno di Sardegna passa dalla corona spagnola a quella dei Savoia.
Il sistema feudale, insieme alle concessioni ecclesiastiche, occupa i nove decimi del territorio isolano. I grandi feudatari come il Marchese di Quirra, il Marchese di Villasor e Orani, il Duca di Mandas e il Conte di Oliva risiedono fuori dalla Sardegna, in Spagna o in Austria.
Sul finire del periodo spagnolo, la corte iberica concede diversi titoli nobiliari, con una proliferazione abnorme. Gli stessi Savoia tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento ricorrono alla concessione di titoli e alla creazione di cavalieri, sia per limitare i poteri dei feudatari sul territorio, sia per accontentare le ambizioni delle élite isolane che richiedono spazi maggiori negli impieghi pubblici.
Si crea così una «nobiltà di toga», composta da funzionari e giuristi che partecipano alle scelte politiche e amministrative del Regno.
Nel territorio sardo vengono concessi diversi diplomi di cavalierato e nobiltà anche per meriti economici: è il caso dei nobili creati dopo il cosiddetto Editto degli Ulivi del 1806, o quelli nobilitati per aver sostenuto economicamente la costruzione della strada di collegamento tra Cagliari e Oristano.
Con l’abolizione dei feudi (1835-1838) la vecchia nobiltà mantiene la stessa posizione sociale, svolgendo ancora azioni di rilevante incidenza nella storia politica sarda.
Dopo la fusione perfetta, del 1847, il doppio diploma di Cavalierato e Nobiltà, di sapore prettamente spagnolo, non viene più concesso (vengono confermati i diplomi già posseduti dalle famiglie). Si concede, invece, il diploma di Nobiltà generica, senza Cavalierato e senza la qualifica di Don, e talvolta il titolo di Conte o Barone, senza appoggio su un feudo, ma con il collegamento a territori demaniali o a territori privati.